Attribuito a: Giovanni Bernardino Azzolino
(Cefalù c.1572 – Napoli 1645) Testa virile dall’espressione estatica Cera dipinta Altezza. 7,7 cm, con basamento 12 cm
Le condizioni conservative di questo raro oggetto sono molto soddisfacenti (si riscontra solo una piccola mancanza sul collo) e si può ancora apprezzare la cromia dei capelli e alla rada barba, nonché, brillante a infondere particolare realismo, sulle pupille. Pare probabile che la testa appartenesse a una figura “vestita” di cui necessitavano di modellazione solo le parti in vista, mentre per il resto del corpo poteva bastare un manichino, destinato a essere coperto dagli abiti. Si conosce un buon numero di “statue vestite” a grandezza naturale in legno, mentre gli esemplari in cera, di qualunque dimensione, sono quasi totalmente scomparsi. Una tale “figura vestita” doveva verosimilmente rappresentare un santo: le caratteristiche fisiognomiche e l’espressione estatica, resa con grande intensità e finezza, potrebbero suggerire una immagine di san Francesco o –meno facilmente – di san Gerolamo.
La forte struttura del collo in tensione, indagato con notevole perizia anatomica, è un portato manierista, memore in qualche modo degli studi leonardeschi ma anche di Michelangelo e dei suoi molti seguaci. Il patetismo interiorizzato del volto colloca l’opera in una temperie tipicamente controriformata.
Qualcosa di simile, a dire il vero, si vede in alcuni piccoli busti in cera modellati dal napoletano Giovanni Bernardino Azzolino, specialmente le serie dedicate ai Novissimi, diffuse in collezioni e musei italiani e stranieri (Pinacoteca Ambrosiana, Capodimonte, Museo Praz a Roma, Palazzo Pitti, Victoria and Albert Museum, quest’ultima di bottega).
La “nascita” di questa fortunata composizione sembra essere avvenuta intorno al 1610 su richiesta di Marcantonio Doria. tutte le versioni (particolarmente bene al confronto si prestano quelle di Pitti e dell’Ambrosiana) la resa del collo dell’Anima Purgante presenta significativi punti di contatto con quello della testina qui in esame. Certo diventa meno facile trovare un confronto per l’espressione così interiorizzata del nostro prob872261403_2696">abile santo, ma non va dimenticato, come scrive Pellegrino Orlandi nel suo Abecedario Pittorico: Azzolino “nei ritratti e nelle storie di cera colorita fu un sublime inventore che non ebbe pari”: infatti “quadri” in cera e persino “teste” Azzolino li eseguì per committenti anche molto lontani tra loro, quali il già ricordato genovese Marcantonio Doria o, nel 1608, la spagnola contessa de Lemos . E del resto, se è vero che dell’artista di Cefalù come plasticatore in cera conosciamo, si può dire, solo le diverse versioni dei Novissimi, di recente si è chiarita la sua tutt’altro che minore produzione pittorica.
Pare ragionevole supporre l’attività di ceroplasta non radicalmente disgiunta da quella pittorica, anche se naturalmente è difficile figurarsi un passaggio automatico dall’una all’altra modalità espressiva: anche perché, coerentemente con le abitudini operative degli artisti cinquecenteschi, è probabile che i modelli in cera potessero venire utilizzati anche come supporto dell’attività pittorica, per studiare scorci e chiaroscuri. La ricettività della cera a luce e ombre garantiva da questo punto, per certo, un valore aggiunto per chi, essendosi dovuto confrontare quasi ovunque (in Sicilia, a Napoli, persino a Genova) con la lezione di Caravaggio , attribuiva un grande significato al realismo luministico. Ce ne accorgiamo osservando le peculiari, mobilissime opalescenze negli incarnati di opere come la Madonna di Ognissanti nel Gesù Nuovo di Napoli, risalente ai primi anni del Seicento. In questo senso si può avanzare un confronto tra la così peculiare fisionomia della piccola cera e una tipologia facciale presente nel corpus di Azzolino pittore. Particolarmente stringenti mi sembrano in questo senso quelle dei personaggi, dai volti spigolosi ed emaciati, della pala raffigurante San Domenico che distribuisce i rosari in San Pietro Martire a Napoli, del 1640, Ma tutto sommato volti costruiti già in quel modo, anche se non ancora macerati nel chiaroscuro riberesco, già si vedono nelle Anime purganti della Pala della Trinità dipinta verso il 1590 per il convento di Sant’Antonio a Rivello e ora in Palazzo Lanfranchi a Matera.
Va infatti ricordato che Jusepe de Ribera sposò alla fine del 1616, a Napoli, una figlia di Giovanni Bernardino Azzolino: sarà forse un utile confronto incrociato, se non proprio una controprova decisiva, provare a vedere se qualche assonanza si trova tra opere eseguite dallo Spagnoletto a Napoli e la nostra testina. Mi pare che l’esito sia positivo: più di qualche analogia si può istituire tra la vibrante tensione interiore del volto modellato in cera e quella di santi dipinti da Ribera nella seconda metà del secondo decennio del Seicento, come il San Pietro penitente del Museo Parroquial di Osuna o il Sant’Andrea della Quadreria dei Girolamini di Napoli. Su queste considerazioni si fonda la proposta di riferire la testina qui esaminata a Giovanni Bernardino Azzolino, entro il secondo decennio del Seicento, pur col necessario margine di prudenza .
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